
Di Francesco: scalando l’Europa con un pizzico di follia
Rassegna stampa
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IL MESSAGGERO (U.Trani) – La foto del profilo di WhatsApp è inequivocabile quanto la frase che l’accompagna.
ALTA QUOTA – La cima Di Francesco, partendo dalla Capitale, non è stata mai raggiunta. Domani a Nyon si prenderanno le misure: 22/0. Sono le Champions delle 3 possibili rivali della Roma: le 12 del Real, le 5 a testa del Bayern e del Liverpool. Ma Eusebio è già scattato, subito dopo il successo contro il Barça. «Vogliamo andare a Kiev, perché non crederci?». Il 3 a 0 di martedì sera, insomma, entra nel percorso. Straordinario e storico. «Abbiamo fatto il Barcellona» ammette sorridente a cena, nel ristorante al Salario, durante l’irruzione delle Iene. E’ a tavola con la moglie Sandra e gli amici, accanto ha l’ultimogenito Luca. Ma l’abruzzese già guarda alla nuova tappa che non è solo il derby di domenica. L’ultima è già nell’album dei (piacevoli) ricordi. Sulla porta dello spogliatoio ha aspettato i giocatori. Lui è rientrato subito nella pancia mai così sazia dell’Olimpico, lasciando la vetrina ai protagonisti. Li ha poi abbracciati e ringraziati uno alla volta. Con affetto. E orgoglio. Perché lo hanno ascoltato, lo hanno seguito.
NESSUN SOGNO – Si è definito pazzo, per aver cambiato, al 42° match della stagione, il sistema di gioco. Di sicuro è stato il guizzo del sonnambulo. Di Francesco non ha dormito tra sabato e domenica, cioè dopo la sconfitta contro la Fiorentina (11° ko stagionale, 7° in casa). La notte passata in bianco per annientare ancora Valverde, come fece da tecnico del Sassuolo vincendo a Reggio Emilia, sempre 3 a 0, e umiliando il collega all’epoca sulla panchina dell’Athletic. Lì fece venire l’idea meravigliosa a Monchi. L’inquietudine notturna è per la ferocia di qualche critica che gli hanno assestato in faccia. «Ho preso gli schiaffi, ma ho sempre saputo reagire». Eusebio, all’alba di 4 giorni fa, ha ribaltato il Barcellona tra le pareti della sua casa all’Eur. La linea a 3 dietro, usata fin qui solo in corsa e per pareggiare contro l’Atletico in casa e l’Inter fuori, e 5 difensori, alzando 2 terzini. E non per evitare la figuraccia. Perché mai la Roma è stata così aggressiva. Sacchi, l’allenatore che alla fine degli anni Ottanta cambiò il nostro movimento, lo chiama maestro. Lui, inforcati gli occhialini, ha preparato la lezione. Pressing, finalmente collettivo, con il centravanti Dzeko, le mezzepunte Schick e Nainggolan, i mediani Strootman e De Rossi. Chissà se il nuovo assetto diventerà quello definitivo. Ha già chiarito che gli interpreti sono quelli giusti per giocare con il 3-4-2-1 (o 3-4-3). Pure il convalescente Karsdorp per capirsi (esterno a destra) o l’infortunato Perotti (trequartista a sinistra), aggiungiamo noi. La svolta è comunque autentica. Perché l’idea è moderna, offensiva e soprattutto europea. L’Italia, con la sua Roma tra le migliori 4 squadre del nostro continente, gli deve essere riconoscente. Il suo capolavoro riaccende l’anno più oscuro del nostro calcio. «Mi fa piacere che siamo noi a rappresentare il Paese, ma la più grande soddisfazione è vedere la nostra gente felice». Ma a coinvolgerla è stato lui. Romanista vero e i tifosi lo sanno.



