
Fazio: «La mia Roma-Liverpool è un sogno, non un incubo. La storia comincia qui»
Rassegna stampa
Condividi l'articolo
CORRIERE DELLA SERA – Il centrale argentino Federico Fazio si è raccontato alla vigilia di Liverpool-Roma.
Immaginiamo: tra otto giorni, all’Olimpico, si va ai calci di rigore. Lei che fa? Tira? Su Falcao che non si presenta sul dischetto, qui, stanno ancora a discutere…
«Non sono un rigorista, ma se l’allenatore me lo chiede certo che lo tiro».
Conoscete meglio voi Momo Salah o è lui che conosce meglio voi?
«È una bella gara. Diciamo che noi lo conosciamo benissimo e che lui ci conosce bene perché è stato nella Roma di Spalletti e non in quella di Di Francesco. Detto questo, il Liverpool non è soltanto Salah. Se pensiamo soltanto a fermare lui, sbagliamo».
Ha parlato di Anfield e del suo impatto sui giocatori. Lo sa che la Roma è l’unica tra le semifinaliste a non avere il suo stadio di proprietà?
«Avere i tifosi a un centimetro è importantissimo. Uno stadio crea identità, diventa la tua casa, può fare la differenza. Anche per questo è alla base del progetto della Roma».
Roma è la Città Eterna, non ama che qualcuno le insegni qualcosa. Però nel calcio ha vinto poco e Siviglia tanto, per esempio cinque tra Coppe Uefa e Europa League. Che cosa porterebbe qui, con la bacchetta magica, dopo aver già portato il direttore sportivo Monchi?
«Con la bacchetta magica niente, con il lavoro tanto. Si parla spesso di mentalità vincente e io ho visto, a Siviglia, che è il prodotto di un gruppo che parte dai dirigenti e arriva fino ai magazzinieri. Per me è importante chiunque lavora a Trigoria, anche se poi in campo vanno undici giocatori. Roma e Siviglia si somigliano: c’è un derby sentitissimo, ci sono radio e tv locali, ci sono avversarie in campionato che hanno più soldi e più trofei in bacheca. Per arrivare in alto servono due cose: una sconfinata voglia di vincere e la continuità nei comportamenti. Non sono cose che si costruiscono in pochi giorni, bisogna saper assorbire le eventuali sconfitte, che fanno parte del calcio, senza perdere la fiducia in quello che stai facendo. Sono arrivato a Siviglia a 19 anni, catapultato dal Mondiale Under 20 che avevo giocato con l’Argentina. Ho firmato e sono partito in un giorno. All’arrivo mi ha preso in consegna Enzo Maresca, che stava sempre con me e mi riempiva di consigli utili. È stata una grande lezione e adesso, quando posso, lo faccio anch’io».
Di Francesco dice che il calciatore ideale è Cengiz Under, che non capisce l’italiano e perciò è impermeabile al famigerato «ambiente romano». È così?
«Provate voi a imparare il turco! Al di là dello scherzo, per me non è un problema gestire l’esterno: in Argentina e in Spagna è molto simile».
Ma Francesco Totti, a Roma, non può girare per strada nemmeno adesso che ha finito di giocare…
«A me basta mettere un cappellino. Mi piace girare per Roma e quando ho il giorno libero vado con mia moglie a vedere le tante bellissime città che ci sono in Italia. Mio bisnonno e mio nonno sono nati qui. Il primo ha combattuto in guerra, il secondo è partito per l’Argentina nel 1949. Era una nazione che dava lavoro e opportunità, adesso la stiamo distruggendo».