“Ei fu direttore sportivo”: dopo Petrachi, Roma al buio

“Ei fu direttore sportivo”: dopo Petrachi, Roma al buio

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Licenziato per giusta causa, cacciato con ignominia.

Gianluca Petrachi pagò i cattivi rapporti con Pallotta, forse qualche messaggio inviato al proprietario giallorosso non del tutto edificante e il rapporto finì in mille pezzi con strascichi giudiziali. Un’avventura lasciata a metà per l’attuale ds della Salernitana, che non mandò mai giù quel boccone amaro, senza nasconderlo d’altronde nelle innumerevoli interviste rilasciate nei mesi successivi all’addio da Trigoria.

Era la primavera del 2020, quando il club salutava ufficialmente il suo ultimo, reale, direttore sportivo operativo. Nelle ultime cinque stagioni la società, passata di mano da Pallotta a Friedkin, non è mai riuscita a costruire una direzione sportiva degna di questo nome e in grado di poter sostenere le molteplici attività quotidiane di cui necessita un club di calcio del livello della Roma: scouting, mercato, supporto tecnico all’allenatore, supervisione del settore giovanile etc.

Nei mesi di passaggio dalla prima alla seconda era americana, Friedkin pensò (male) di lasciare vacante la carica del direttore sportivo, per quasi sei mesi. Ad operare in quel settore fu l’ex CEO Guido Fienga (oggi dirigente all’Al Nassr), supportato da alcuni procuratori. Ricordate l’affare Kumbulla? Ecco, i risultati non furono eccezionali (eufemismo). Ma d’altronde Fienga con grande onestà ha sempre riconosciuto di non avere straordinarie competenze calcistiche.

14.3.2021 Parma vs Roma (Serie A) Sport; Calcio; Nella foto: Tiago Pinto Ryan Friedkin Guido Fienga delusi (Foto Gino Mancini)

Tiago e Mou, scintille e abbandono

Successivamente, dopo settimane di casting e nomi di ogni genere tra italiani e stranieri, Friedkin annunciò la nomina di Tiago Pinto che sbarcò ufficialmente nella capitale solo a gennaio inoltrato, con i soli arrivi di Reynolds (scovato dagli algoritmi di Ryan Friedkin) ed El Shaarawy che si svincolò dal suo accordo in Cina.

Il lusitano però era stato tutto, fino ad allora, in carriera tranne che direttore sportivo: entrato nel board della polisportiva del Benfica dopo aver contestato, da socio, l’operato del presidente del club portoghese, Pinto si occupò dapprima delle altre attività sportive a margine della squadra calcistica e poi solo negli tempi ha collaborato al fianco di Rui Costa e Josè Boto (responsabile dello scouting), senza però condurre in primissima persona le trattative di mercato. Era un organizzatore di risorse umane, un risolutore di problemi logistici ma nulla a che vedere con un direttore generale dell’area sportiva con deleghe sul mercato. Qualcuno dentro il Benfica malignamente rispondeva ai messaggi di informazione sul curriculum di Pinto: “avete scelto uno che organizzava i viaggi della squadra qui per fare mercato, auguri…”.

Non è un caso quindi che ad esempio la scelta di Mourinho non sia ascrivibile a Pinto, bensì ad una intuizione di Friedkin che, saputo dell’esonero al Tottenham, volle conoscere lo Special One per proporgli la pazza idea di allenare la Roma. Tanto che l’ex dirigente portoghese stava intrattenendo i primi colloqui con l’agente di Sarri e nei giorni dell’accordo definitivo con Mou, lo stesso ex tecnico biancoceleste si sentiva il nuovo allenatore in pectore della Roma con tanto di desiderata per il mercato estivo, che sarebbe iniziato di lì a pochi giorni.

Nel corso dell’era ‘Pintiana‘ sono stati evidenti le difficoltà di un giovane dirigente che di fatto, ha svolto una sorta di apprendistato nella capitale: nei rapporti con la Roma, nella comunicazione, nei canali di mercato scelti per chiudere determinate trattative e nel fallimento di altre (Xhaka e Frattesi su tutte).

20.5.2022 Torino vs Roma (Serie A) Sport; Calcio; Nella foto: Tiago Pinto Mourinho (Foto Gino Mancini)

Dopo Budapest il rapporto tra la Roma – i Friedkin – e Pinto si è deteriorato, probabilmente per questioni non solo esclusivamente legate agli aspetti manageriali. Il dirigente portoghese aveva lasciato trapelare la sua stanchezza già in autunno e ha rassegnato le sue dimissioni, accolte dalla società che lo ha esonerato anzitempo rispetto alla naturale scadenza di contratto prevista a giugno 2024.

Segnale del caos imperante a Trigoria e di riflesso a Houston o Londra, la sessione di mercato invernale scorsa diretta da un ds o presunto tale già esautorato, con tanto di cambio fragoroso in panchina: fuori Mourinho, dentro De Rossi. Tutto ordinato da Dan e Ryan senza passare nuovamente per la struttura dirigenziale.

Un francese e una greca, ma alla fine decide Dan

Altri sei mesi abbondanti senza nomine ufficiali e una ridda di nomi accostati, inseguiti, in parte solo ascoltati per arrivare a Florent Ghisolfi, scelto, ad oggi, in base a criteri non ancora chiari. Nel frattempo Lina Souloukou, sfruttando la perdurante assenza del proprietario e l’estemporanea presenza del figlio, figura comunque abbastanza marginale allo stato, ha acquisito sempre più potere interno alla società.

La dirigente greca aveva proposto a Friedkin un organigramma così composto: Modesto direttore tecnico, Sogliano direttore sportivo e Raffaele Palladino in panchina. Ma Dan ha fatto nuovamente di testa sua, ingaggiando Ghisolfi – giovanissimo direttore sportivo con soli tre anni d’esperienza tra Lens e Nizza – che è apparso però sin da subito perimetrato ed emarginato tanto da non sentire l’esigenza di imparare in fretta e furia l’italiano, che ancora oggi non parla pubblicamente oltre a non aver inciso poi realmente sul mercato giallorosso nella scelta di esonerare De Rossi.

Ivan Juric, altra scelta di Lina prima dell’addio clamoroso di metà settembre, ne è stata l’ulteriore dimostrazione. Così come il caos di questi ultimi giorni. Nessun candidato o presunto tale alla panchina suggerito da Ghisolfi è stato lontanamente preso in considerazione dai proprietari della Roma, che in questo sintetico riassunto a tappe del quinquennio nella capitale, manifestano di aver commesso un errore fondamentale: non aver ancora capito come si costruisce un organigramma dirigenziale in grado di poter poi sviluppare un progetto sportivo duraturo e produttivo.